Retail - Falsi colori 1

Qui vorrei raccontarvi del metodo di base, vecchio quanto l’illuminotecnica, per calcolare in modo approssimativo, ma molto semplice, gli illuminamenti medi in un locale. Lo ripeto, lo scopo è quello di evidenziare l’inutile abuso che viene fatto delle verifiche illuminotecniche per situazioni molto semplici.

Facendo riferimento ai concetti di illuminamento e flusso luminoso, di efficienza di una sorgente e di rendimento di un apparecchio di illuminazione, vediamo dunque il metodo di calcolo con il sistema del flusso totale. Farò qualche semplificazione, giusto per non sembrare troppo noioso, ma soprattutto non perdere l’obiettivo.

L’illuminamento, misurato in lux, è una grandezza derivata dal rapporto tra il flusso luminoso che colpisce una superficie e l’area di quest’ultima; pertanto si ha che 1 lux = 1 lumen / 1 metro quadro. Alle stesso modo possiamo definire gli illuminamenti di un locale sommando il flusso che esce dagli apparecchi installati (flusso totale) a soffitto (il metodo è valido per i downlight, mentre con l’abatjour della vostra camera non funziona) e dividendo la somma per la superficie del locale.

Il concetto è semplice, ma occorre fare attenzione ad alcuni fattori. Prima di tutto, non basta conoscere il flusso installato ma occorre stabilire quello uscente dai singoli apparecchi, e che pertanto dobbiamo applicare un rendimento. In secondo luogo che non tutto il flusso uscente incide direttamente sul pavimento o sul piano di lavoro.
Per semplificare il ragionamento propongo un esempio concreto, con valori ideali che ci aiutino a semplificare il calcolo. Prendiamo un locale di 10mx5m (50 mq) e di altezza 3m, e ipotizziamo di avere 20 incassi con sorgenti installate da 1000 lumen. Ora, a questi 1000 lumen dovremo applicare un coefficiente di riduzione determinato dal rendimento dell’apparecchio che ipotizziamo essere del 75%. Pertanto avremo:

Flusso uscente totale = 1000 lm x 20 apparecchi x rendimento 0.75 = 15000 lumen.

A ciò, inoltre, è buona cosa applicare un fattore di manutenzione (FM), ossia una riduzione del risultato che tenga conto della perdita di efficienza delle sorgenti nel tempo e soprattutto delle polveri che si depositano sulle ottiche o sui vetri di protezione. Esiste una Normativa che determina questo fattore in base alla tipologia dei locali e ai cicli di manutenzione previsti, ma per convenzione si è soliti applicare un generoso 80%. In questo modo avremo:

1000 lm x 20 apparecchi x rendimento 0.75 x FM 0.80 = 12000 lumen

Se ipotizzassimo che tutto questo flusso potesse colpire direttamente il piano di calcolo, avremmo 12000 lm / 50 mq = 240 lux a terra; però ciò non accade. Infatti una parte del flusso colpisce le pareti che riflettono la luce in modo diffuso sia verso il basso che verso l’alto. Dunque, non tutto il flusso è utile, ed occorre applicare un altro fattore al nostro calcolo che si chiama, appunto, fattore di utilizzazione (FU). Questo è l’elemento più difficile da determinare, poiché occorre un po’ di esperienza e qualche ragionamento.

In realtà questo è un metodo un po’ vecchio, comunemente utilizzato quando non esistevano i software di calcolo, che si appoggiava su dati forniti dai produttori di corpi illuminanti per determinare il fattore di utilizzazione: per raccontarlo in breve,  si individuava prima un indice del locale e un suo fattore chiamato K, e da esso, con apposite tabelle associate all’apparecchio, si determinava con discreta precisione il fattore di utilizzazione. Ora, replicare questo metodo non solo è anacronistico, ma anche impossibile (vista la mancanza delle tabelle di cui si diceva) e quello che propongo qui è una sua semplificazione.  Lo scopo non è tornare indietro nel tempo, ma l’utilizzo di un metodo che può risultare molto utile e rapido in certe condizioni.

A questo punto, in sostituzione delle tabelle, occorrono dei ragionamenti per intuire in modo approssimativo i valori da attribuire al fattore di utilizzazione.  Anzitutto un elemento che determina il fattore di utilizzazione è l’ottica del nostro apparecchio: possiamo facilmente ipotizzare che più l’ottica è stretta minore sarà l’illuminazione delle pareti e pertanto maggiore sarà il flusso utile.

Torniamo alla nostra stanza di esempio, e ipotizziamo di rimanere a una distanza normale dalle pareti.

Possiamo ipotizzare che i 20 incassi se hanno un’ottica abbastanza stretta, per esempio 20°, il fattore di utilizzazione sarà abbastanza buono. Ipotizziamo appunto 0,95.

Avremo così (1000 lm x 20 apparecchi x 0.75 x FM 0.80 FU 0.95) : 50 mq = 228 lux

Qui, sulla destra il diagramma polare dell’ottica 20° e di seguito la verifica di Dialux con i risultati

Con ottiche più ampie, invece, avremo una riduzione del fattore di utilizzazione: ipotizziamo FU=0.85 per un’ottica di 60° e ancora un FU=0.75 per un ottica diffondente, di quelle per esempio che si ottengono con un vetro sabbiato.

Dunque con 60° avremo  (1000 lm x 20 x 0.75 x 0.80 x 0.85) : 50 mq = 204 lux

e nel secondo caso (1000 lm x 20 x 0.75 x 0.80 x 0.75) : 50 mq = 180 lux

Sulla destra, invece, le simulazioni con le verifiche di confronto eseguite in Dialux

Come vedete le stime non sono perfette ma non divergono più di tanto. Vero è, però, che ho scelto una situazione abbastanza standardizzata, per la quale non è difficile valutare, con un po’ di esperienza e con qualche prova, un fattore di utilizzazione abbastanza corretto.  In altre situazioni, con distribuzione irregolare dei punti luce o comunque con locali e geometrie più complesse, diventa più complicato “indovinare” l’indice più corretto.

Vediamo dunque altri aspetti, oltre alle ottiche, che possono influire sul fattore di utilizzazione:

– L’altezza del locale: maggiore è l’altezza, peggiore sarà il fattore di riduzione, soprattutto con ottiche ampie.
– Distribuzione: se i punti luce sono concentrati al centro del locale il FU sarà molto elevato, mentre con punti luce ravvicinati alle pareti il fattore di utilizzazione dovrà essere più severo.
– L’indice di riflessione: più chiari e riflettenti sono i materiali del locale  migliore sarà il fattore di utilizzazione.

Viste le variabili nell’individuazione di questo fattore, è meglio evitarne l’uso, o comunque affidarsi esclusivamente a questo, in alcuni casi:

–  Indici di riflessione molto elevati, soprattutto per quanto riguarda il pavimento in locali che presumibilmente rimarranno privi di arredi (l’elevata riflessione di pavimento e soffitto può infatti aumentare notevolmente il fattore di utilizzazione fino a FU>1).
– Distribuzione irregolare dei corpi illuminanti.
– Livelli di illuminamento molto bassi.

Tutto ciò lo scrivo perché, con un po’ di allenamento e abitudine, per la maggior parte delle condizioni in cui non è fondamentale la precisione quantitativa, il supporto dei software di calcolo illuminotecnico può non essere necessario.

Dalle simulazioni in Dialux possiamo notare che i risultati numerici non variano di molto, mentre l’effetto luminoso può essere notevolmente diverso.

A questo punto mi chiedo, in modo retorico, se siano più importanti 50 lux di differenza o l’estetica e percettiva, la sensazione psicologica che l’illuminazione di un locale può produrre.

Non è forse meglio una persona esperta che sappia illuminare in modo gradevole uno spazio, piuttosto di un calcolo che certifichi quanta luce abbiamo su un pavimento?
A questo proposito, ossia alla richiesta di verifiche illuminotecniche come se fossero una certificazione del risultato finale, pensate che sia molto difficile alterarne i valori?  Quando le aziende propongono le verifiche illuminotecniche come se fossero un’attestazione delle buone performance dei loro prodotti, credete che siano sempre impeccabili?

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